Ormai è un dato di fatto: il videogioco è riuscito a trascendere la dimensione del “semplice” intrattenimento, diventando a tutti gli effetti un medium capace di comunicare sotto molti aspetti differenti. Un videogioco non si limita a divertire, ma può arrivare a educare, trasmettere valori e persino servire per comprendere la società per come si è trasformata col tempo.
Il concetto alla base si è insomma evoluto, così come si sono andati a trasformare i linguaggi adoperati: i grossi passi in avanti in termini tecnologici hanno certamente dato manforte anche in questa direzione, e oggi non possiamo neanche immaginare dove tutto ciò riuscirà a portarci. Parlando proprio di linguaggio, è incredibile la quantità di esperienze molto diverse tra loro che il mercato è arrivato a offrire: pensiamo ad esempio alle avventure grafiche, di tutti i generi possibili e immaginabili, che abbiamo oggi a nostra disposizione.
Questi prodotti partono da un presupposto molto semplice, ovvero di prediligere l’aspetto narrativo a quello prettamente di intrattenimento. Il risultato finale? Storie uniche nel loro genere, capaci di coinvolgere pur richiedendo un’interazione minima da parte dell’utente. Da questo punto di vista Quantic Dream è una delle realtà che più ha sperimentato nel corso degli anni, e oggi vogliamo riflettere con voi su quella che è la reale portata del contributo che lo studio di Cage (e altri contesti affini) hanno portato nel mondo dei videogiochi.
Videogiochi e narrazione: un confine davvero sottile?
Uno sguardo veloce all’industria del videogioco dell’ultimo decennio riesce, in maniera pressoché immediata, a restituirci un quadro generale davvero impressionante: esiste infatti un prodotto praticamente per chiunque, indipendentemente da quelli che possono essere gusti ed esigenze personali. Sono tante le opere, ad esempio, che puntano molto sull’aspetto narrativo dando vita a esperienze capaci di lasciare un segno indelebile nel cuore dei videogiocatori.
Tra queste ve ne sono alcune per le quali lo storytelling non è soltanto una componente, ma risulta essere la colonna portante dell’intero progetto. Ecco dunque spiegato il ruolo da “protagonista” di Quantic Dream per quanto riguarda questo articolo: la software house francese è infatti un caso emblematico in tal senso, proprio perché in grado di offrire esperienze… Che quasi rinunciano al gameplay, in maniera più o meno marcata.
Un percorso iniziato con il secondo titolo di Cage e soci, quel Fahrenheit uscito nel 2005 e che raccolse subito il plauso congiunto di critica e pubblico. Stiamo infatti parlando di un prodotto dove il giocatore esercita il proprio controllo perlopiù tramite scelte binarie, plasmando dunque poco alla volta quella che sarà la sua storia.
Uno standard che lo studio ha poi portato avanti con Heavy Rain prima e in seguito con Beyond: Two Souls, per poi proporlo in versione ulteriormente raffinata con Detroit: Become Human. Opere che, pur mostrando talvolta lacune e alti e bassi non da poco a livello di consistenza, rappresentano comunque dei casi più che lodevoli per quanto riguarda la sperimentazione. Sotto molti punti di vista.
Spesso e volentieri il tutto viene percepito come un azzardo da una folta schiera di giocatori, che critica apertamente quella che può in effetti essere etichettata come assenza di gameplay. L’interazione è infatti minima, con le scene più concitate che fanno ricorso a Quick Time Events e non ad azioni in tempo reale. Come sempre la verità sta nel mezzo, ed è sbagliato affidarsi totalmente o bollare come errata un’opinione o l’altra.
Se è vero che a livello pratico non si richiede effettivamente un coinvolgimento attivo da parte del giocatore, l’altra faccia della medaglia mostra come questo venga catturato proprio da una forte attenzione al comparto narrativo. É la storia insomma il vero punto focale dell’esperienza, e tutto il resto può e forse deve essere etichettato come contorno.
Siamo forse di fronte a prodotti più vicini al medium cinematografico che a quello videoludico? Forse sì, ma anche qui esprimersi in termini assoluti è sbagliato. Più corretto è invece parlare di una convergenza sempre più marcata tra queste due forme di comunicazione ormai non più così distanti, che in questo modo possono pensare di raggiungere pubblici sempre più ampi e variegati. Se un’opera come Heavy Rain può interessare giusto una piccola parte della community di videogiocatori, perché non potrebbe catturare anche l’attenzione di qualche appassionato di cinema?
Raccontare una storia, giocando.
L’industria del gaming è un ecosistema fitto di realtà, autori e colossi che rendono il panorama complessivo davvero ricco in termini di varietà. Quantic Dream non è insomma l’unico attore protagonista quando parliamo di esperienze che, nel modo che abbiamo descritto, decidono di puntare in maniera decisa e marcata sulla narrazione. Un altro esempio di notevole importanza è assolutamente Telltale Games che, come il nome suggerisce, ha fatto di questa caratteristica il suo cavallo di battaglia per diversi anni.
Ripensando alla prima stagione di The Walking Dead o a The Wolf Among Us, tornano infatti alla mente ricordi unici di storie capaci di coinvolgere, emozionare e addirittura colpire duro come nel caso dell’avventura di Lee e Clementine. Anche in questo caso al giocatore non viene richiesta una particolare abilità quanto piuttosto una fortissima empatia, costruita passo dopo passo con un racconto capace ancora oggi di lasciare un segno indelebile.
Purtroppo Telltale non è riuscita con gli anni a rinnovarsi, mantenendo sempre la medesima struttura che alla lunga ha finito con l’annoiare buona parte del suo (già assai ristretto) bacino d’utenza. La rinascita della software house a opera di LCG Entertainment potrebbe essere l’occasione per riportare in auge quel particolare tipo di racconto, che in fin dei conti è qualcosa che spesso viene a mancare nell’industria dei videogiochi.
Una menzione d’onore va poi fatta a Life is Strange: la serie firmata Dontnod ha infatti il merito di costruire nei minimi particolari un’atmosfera e delle sensazioni ben precise, proprio grazie a una narrazione fatta di tanti piccoli elementi. I dialoghi, la costruzione dei personaggi e soprattutto la colonna sonora sono infatti elementi fondanti e fondamentali di un impianto narrativo unico nel suo genere: uno schema che fa della semplicità il suo punto forte, con il giocatore che viene accompagnato alla scoperta di un mondo con una base incredibilmente realistica e a tratti cruda che è poi la “banale” quotidianità.
Senza dimenticare ovviamente quei prodotti che sono probabilmente i capostipiti di questo filone, ovvero le care vecchie avventure grafiche. Esatto, stiamo proprio parlando di titoli come Monkey Island, Grim Fandango, Broken Sword e chi più ne ha più ne metta. Queste esperienze riuscivano (e sì, riescono ancora oggi) a lasciare che il giocatore si immerga in mondi che non possiamo non definire eccezionali. Prendiamo ad esempio la Terra dei Morti di Grim Fandango, un mondo che Schafer e soci hanno costruito con un’attenzione ai dettagli davvero encomiabile. Ogni linea di dialogo così come anche le piccole espressioni dei personaggi hanno reso il tutto un’esperienza che sì, chi vi scrive considera il miglior videogioco mai concepito in assoluto. Gusti personali assolutamente, ma voglio cogliere l’occasione per consigliare nuovamente di vivere quest’avventura almeno una volta nella vita.
La differenza tra questi prodotti e quelli citati in precedenza, Quantic Dream e Telltale su tutti, sta in una maggiore libertà a livello di esplorazione: il giocatore può infatti muoversi all’interno di scenari magari non particolarmente ampi, ma ricchi di particolari che vanno a costruire un ambiente che risulta esso stesso funzionale alla narrazione.
In generale abbiamo comunque parlato oggi di esperienze che, al netto di tutto, riescono a raccontare una storia senza ricorrere a elementi di gameplay particolarmente complessi o sfaccettati, ma è chiaro come non si debba comunque ragionare in termini di estremi. La presenza di un gameplay avvincente non deve corrispondere a una narrazione abbozzata e viceversa insomma, e gli esempi in questione sono anche in tal caso moltissimi.
Capolavori come Uncharted e God of War sono infatti in grado di catturare chi gioca con un’azione sempre di altissimo livello, che non rinuncia a uno storytelling profondo, divertente e anch’esso capace di intrattenere senza alcun limite. Titoli di questo calibro sono il giusto compromesso per chi è alla ricerca di un’esperienza ludica nel vero senso del termine, in un’industria che come diciamo spesso è bella proprio perché varia. L’unico limite, a un certo punto, è solo quello dell’immaginazione.