La potenza è nulla senza il controllo, recitava una famosa pubblicità di Pirelli molti anni fa. Applicando il concetto al settore hardware, possiamo parafrasare il tutto in “la potenza dell’hardware è nulla senza il software”.
Lo sanno bene tutte le principali aziende del mondo, e fra queste troviamo Samsung, che ha annunciato alcune innovazioni software per i suoi potenti SSD PCI Express 4.0 destinati al settore datacenter, PM1733 e PM1735, in produzione dal mese scorso.
La prima innovazione si chiama FIP, acronimo che sta per fail in place, e che secondo Samsung “assicura un SSD che non muore mai”. Cosa significa? FIP fa sì che gli SSD mantengano un’operatività normale anche quando si verificano errori a livello di chip.
Finora un problema in un solo chip NAND delle centinaia che compongono un SSD server significava che bisognava sostituire l’intero SSD, portando a un periodo di inattività del sistema e ulteriori costi di sostituzione del prodotto. Il software FIP integrato nei nuovi SSD può rilevare un chip “fallato”, fa la scansione alla ricerca di qualsiasi tipo di danno nei dati e poi sposta le informazioni sui chip funzionanti.
Ad esempio, se un problema viene identificato in uno dei 512 chip NAND presenti all’interno di un SSD da 30,72 TB, il software FIP attiverà automaticamente algoritmi per la gestione dell’errore al livello dei chip, mantenendo le prestazioni dell’unità alte e stabili.
La seconda tecnologia che Samsung implementa sui nuovi prodotti è la virtualizzazione, che permette a più utenti di avere spazi di lavoro virtuali indipendenti. Un singolo SSD può essere suddiviso in un massimo di 64 piccoli SSD, fornendo così spazi di lavoro virtuali e indipendenti a più utenti.
I fornitori di archiviazione sul cloud possono così estendere i loro servizi a più utenti con la stessa quantità di risorse. La tecnologia consente agli SSD di prendersi carico anche di alcune operazioni virtualizzate solitamente gestite dalle CPU server, come Single-Root I/O Virtualization (SR-IOV), richiedendo così meno CPU e SSD.
Il terzo elemento con cui Samsung spera di attrarre più clienti verso i nuovi SSD si chiama “V-NAND machine learning technology” e usa i big data per verificare in modo accurato la validità di un dato quando si lavora a velocità molto elevate.
La tecnologia aiuta a predire e verificare in modo preciso le caratteristiche delle celle, oltre a rilevare qualsiasi variazione tra i modelli dei circuiti grazie all’analisi dei dati. Questo, secondo l’azienda sudcoreana, assicura un’affidabilità superiore dei dati, laddove le sempre maggiori prestazioni degli SSD rappresentano una sfida nel leggere e verificare i dati tramite impulsi di tensione estremamente rapidi.
“Un SSD realizzato con oltre 100 layer di NAND a 4 bit (QLC), che richiede un controllo della cella nettamente più preciso rispetto alla NAND a 3 bit (TLC), è in grado di generare i livelli superiori di prestazioni, capacità e affidabilità necessari in un server e nei sistemi di archiviazione nei datacenter con il software di machine learning”, afferma Samsung.
Le due nuove serie di SSD NVMe di Samsung contano su 19 modelli in due form factor – 2,5 pollici (U.2) e HHHL (scheda) – con capacità che spaziano da 0,8 a 30,72 TB. A seconda del modello la resistenza è di uno o tre drive writes per day (DWPD) su un periodo di 5 anni.
Tra i due formati quello a scheda è il più veloce con prestazioni in lettura e scrittura sequenziale rispettivamente di 8 GB/s e 3,8 GB/s e velocità casuali di 1.450.000 IOPS in lettura e 260.000 IOPS in scrittura. I modelli U2 da 2,5 pollici si fermano a 6400 MB/s per quanto concerne le letture sequenziali.