Cambiano le amministrazioni ma le guerre commerciali restano. Il recente insediamento di Joe Biden nel ruolo di Presidente degli Stati Uniti non ha prodotto effetti apprezzabili per quanto riguarda lo scontro tra le due superpotenze, anche se qualcosa potrebbe presto cambiare. Sia chiaro, non ci si aspetta che la sostanza possa essere stravolta – e casi come quello di Huawei sono ben lontani dal trovare una soluzione definitiva -, ma piuttosto che il cambiamento possa avvenire sugli altri livelli della comunicazione, partendo dai toni sino alla ripresa del dialogo con gli alleati.
Ciò è quello che emerge anche dalla prima telefonata formale tra Joe Biden e Xi Jinping, dalla quale appare chiaro che lo scontro commerciale non sia ancora giunto ad una svolta e che – almeno in questa prima fase – continuerà sul copione già scritto. Nonostante ciò, le dichiarazioni successive all’incontro telefonico hanno lasciato intendere che gli Stati Uniti vogliono cambiare qualcosa rispetto alla politica attuale, specialmente sul tema delle sanzioni e della gestione della filiera produttiva, anche se questo avverrà in maniera graduale. Diamo uno sguardo ai punti più interessanti dal punto di vista del settore tech.
Il tema di fondo che ha caratterizzato il dialogo tra i due leader è ovviamente quello delle sanzioni commerciali imposte dal governo statunitense nei confronti delle aziende cinesi e i limiti al commercio che impediscono a quelle americane di intrattenere rapporti con Pechino.
Su questo aspetto non ci saranno novità sostanziali nel breve periodo, quindi nessuna revoca degli ordini esecutivi emanati dall’amministrazione Trump, o almeno non subito. I ban continueranno a restare in vigore, ma questi verranno sottoposti a una nuova serie di analisi per valutarne l’importanza e l’efficacia. Lo scopo finale è quello di stilare una lista di azioni di blocco molto mirate, andando a colpire quindi solo i settori realmente strategici e non quelli più generali.
La novità di questo approccio riguarda il nuovo ruolo che avranno le nazioni alleate degli Stati Uniti, dal momento che la principale critica mossa contro la precedente amministrazione era quella di aver agito in maniera unilaterale, senza tenere in considerazione gli effetti causati dai dazi che hanno colpito i principali alleati degli USA, tra cui proprio l’Europa. La nuova Amministrazione punta quindi a creare una sorta di cordata occidentale che riesca a fare fronte comune a tutela dei propri interessi; si tratta senza dubbio di un passo avanti che dovrebbe evitare che interi sistemi economici e politici si ritrovino a subire passivamente lo scontro tra i due colossi.
Per quanto riguarda i ban verso la Cina, l’Amministrazione Biden punta anche a limitare l’esportazione di tecnologie e risorse che possano accrescere direttamente il potenziale tecnologico e militare della Cina, proprio attraverso l’applicazione di embarghi e blocchi più mirati.
Tra le varie esternalità negative causate dallo scontro commerciale, c’è anche quello legato al discorso della catena produttiva, specialmente per quanto riguarda i prodotti ad alto valore tecnologico. L’avvio delle sanzioni contro Huawei hanno dato origine ad un lungo clima di incertezza riguardo la centralità della filiera produttiva cinese, che ha rappresentato un vero e proprio punto di riferimento per la produzione mondiale di qualsiasi bene.
Nei mesi successivi si è subito cominciato a trattare il tema della delocalizzazione e della fuga dalla Cina (affrontato anche da Apple), un percorso non esattamente facile da intraprendere in tempi brevi, dal momento che richiede la ricollocazione di interi poli tecnologici in altre aree del mondo. Il 2020 ha ulteriormente esacerbato la questione a causa della pandemia, che ha portato ad un vero e proprio blocco della filiera produttiva cinese che ancora oggi mostra il suo impatto in tutti i principali settori tecnologici.
A soffrire particolarmente è stata la filiera legata ai semiconduttori: il lockdown ha innalzato fortemente la domanda di beni come smartphone, tablet e PC, le catene di produzione si sono arrestate in un momento così critico e il risultato è stata la carenza di scorte. Basti pensare a prodotti come le console di ultima generazione, o le CPU e GPU presentate nel 2020, tutti i componenti fondamentali sono disponibili solo in quantità limitate e la situazione continua a rappresentare un grosso problema.
L’Amministrazione Biden ha intenzione di provare a cambiare lo stato delle cose, grazie anche alla forte pressione fatta dalla Semiconductor Industry Association e dai 21 CEO che hanno incalzato il Governo sul tema. Fondamentalmente la questione – secondo la SIA – deve essere affrontata su due livelli: uno che tenga conto delle azioni che è possibile intraprendere nel breve periodo e uno che consideri alternative strutturali che riducano la dipendenza dalla filiera asiatica, in particolare da Taiwan.
Secondo la SIA quest’ultimo punto può essere risolto mettendo in campo sostanziosi finanziamenti e incentivi (anche di natura fiscale) che permettano di rendere fattibile l’apertura di fonderie e linee produttive direttamente negli Stati Uniti. Al momento questo scenario è impossibile in quanto mancano sia i poli industriali adatti (quindi la presenza di tutte le aziende legate alla filiera produttiva in un’area sufficientemente concentrata), sia gli incentivi che permettano di compensare i costi aggiuntivi (quello del lavoro su tutti) che è necessario sostenere per abbandonare un mercato conveniente come quello cinese.
Questo per quanto riguarda il lungo periodo, tuttavia, prima di pensare a come riportare la produzione di componenti fondamentali all’interno degli USA, è necessario prendere in considerazione l’attuazione di misure immediate che sblocchino la situazione attuale. Per fare ciò, sembra che l’Amministrazione Biden stia per presentare un nuovo ordine esecutivo che ha proprio questa priorità: individuare gli attuali colli di bottiglia della filiera e intervenire con soluzioni mirate che permettano al settore dei semiconduttori di ripartire e di rispondere in maniera efficace ai bisogni della domanda mondiale.
Si parla di azione immediata, ma i risultati non arriveranno prima di 3-4 mesi, dal momento che l’ordine esecutivo darà il via ad un’analisi di 100 giorni che verrà svolta dal National Economic Council e dal National Security Council, ai quali toccherà analizzare e risolvere tutti punti cruciali anche per settori legati alla gestione dei materiali minerari cruciali (terre rare incluse), forniture di dispositivi medici e batterie ad alta capacità impiegate anche nello sviluppo di veicoli elettrici. Questo sarà il focus della prima analisi che dovrà essere svolta, mentre nel giro di un anno verranno considerate anche le questioni di altri settori importanti come la difesa, la salute pubblica, l’energia, i trasporti e le telecomunicazioni.
In concomitanza con quanto emerso dal colloquio tra Joe Biden e Xi Jinping, Cristiano Amon, il prossimo CEO di Qualcomm, ha dato un suo contributo alla discussione legata al tema dei semiconduttori nel corso del webcast di Goldman Sachs tenuto dall’analista Rod Hall.
Amon ha evidenziato come le sanzioni imposte a Huawei possano rappresentare un punto di ripartenza per tutti coloro che erano soliti affidarsi alle linee di TSMC, dal momento che il suo secondo principale cliente è al momento impossibilitato ad approvvigionarsi presso le fonderie taiwanesi. HiSilicon – la costola di Huawei dedicata allo sviluppo dei SoC Kirin -, infatti, non può più svolgere il ruolo di secondo cliente di TSMC (Apple è al primo posto, come evidenziato anche dagli ordini di chip a 5nm), fatto che libera molta della capacità produttiva delle fonderie che potrà essere messa a disposizione di altre aziende, tra cui Qualcomm stessa.
Il chipmaker statunitense ha evidenziato come la domanda verso i suoi chip sia aumentata notevolmente nel corso dell’anno e di non essere stata in grado di soddisfarla come avrebbe voluto. Tra i principali elementi che hanno spinto verso l’alto la richiesta di soluzioni Qualcomm c’è il sempre maggior peso che sta avendo l’industria automobilistica in questo settore: non solo smartphone e tablet, quindi.
Amon fa comunque notare che ogni ordine tolto a HiSilicon non si trasforma automaticamente in uno spazio in più a disposizione per altre realtà, dal momento che la transizione verso la filiera di TSMC richiede un passaggio di conversione da quelle attualmente utilizzate (nel caso di Qualcomm pensiamo a Samsung), quindi è necessario considerare un periodo di assestamento in cui la filiera produttiva si riorganizza attorno alla nuova configurazione del mercato. Insomma, se le sanzioni imposte a Huawei non hanno creato subito lo spazio necessario per Qualcomm, Intel, AMD, Nvidia e altre realtà, il motivo è proprio legato alla difficoltà nel passare da una linea all’altra, specialmente quando si tratta di fonderie diverse.